Camila Giorgi, anche quando vince, fa discutere. Le solite sentenze, molto italiane, arrivano chiare e forti anche dopo lo storico successo a Montreal. “Se avesse cambiato coach in passato avrebbe vinto molto di più”, seguita dal classico “certamente il padre non la allena più, dato che non era in Canada” o ancora “Si, brava, ma perché ha cambiato modo di giocare solo a ridosso dei 30 anni?”.
Premessa: la colpa di queste frasi (quelle educate e in buonafede) è anche, in parte dei Giorgi, che non sono mai stati straordinari (eufemismo) a livello di comunicazione verso l’esterno.
Come è possibile che Camila Giorgi sia esplosa così tardi? Come mai il suo tennis appare solo oggi così solido e tatticamente concreto? Per rispondere a ciò che sta accadendo nel presente (e che accadrà nel futuro), è sempre bene analizzare il passato. Nei minimi dettagli.
Testa, corpo, tattica, tecnica. Il tennis è questo. Se manca uno di questi tasselli, il puzzle non verrà mai completato.
Svolgimento. Sergio Giorgi ha letteralmente costruito da zero, come atleta, Camila. Da quando, bambina, chiede al papà di poter giocare a tennis come i fratelli. “Mia moglie voleva uccidermi”, ha più volte spiegato Sergio, che faceva svolgere, sin dai primi anni, allenamenti molto duri alla piccola Cami sotto al pallone pressostatico di Macerata, che in inverno significa freddo glaciale.
Per capire un’atleta come Camila è necessario fare un salto indietro nel tempo, analizzando la sua crescita sportiva e, soprattutto, umana. Camila è cresciuto con mamma Claudia, papà Sergio, e i fratelli Leandro, Amadeus e Antonela. Una famiglia nomade, giunta a Macerata poco prima che nascesse Camila, per poi girovagare tra Italia, Spagna, Stati Uniti (Miami) e Francia (hanno vissuto 5 anni a Parigi, dove Camila ha anche praticato il pugilato, tra gli sport preferiti di Sergio e Cami). Proprio a Parigi, a causa di un incidente, nel 2011 la famiglia vive il grave lutto della morte di Antonela, legatissima a Camila.
Un grave lutto, una famiglia in continuo movimento, una carriera professionistica da portare avanti. Contro tutto e contro tutti, perché non c’è addetto ai lavori che non critichi il lavoro di Sergio. L’unico appiglio sono Sergio, Claudia, Leandro e Amadeus. Fondamenta solide, senza dubbio, ma la crescita, umana ancor prima che sportiva, non è semplicissima. Camila non fa fatica a fare nuove amicizie (al di fuori del tennis), ma è ovvio che la vita della tennista non aiuti.
Nella prima parte della carriera Camila in campo sembra insensibile a qualsiasi evento, positivo o negativo. Non fa una piega, mai. Non esulta mai. Non protesta mai. Sembra. Non è la realtà. Camila quando perde si arrabbia, tanto, forse troppo. Vuole subito tornare in campo ad allenarsi. Troppo. Vuole giocare ogni torneo, anche con la febbre. È difficilmente arginabile. Camila non parla con la stampa, è riservata, non vuole che si sappia nulla di lei. Sergio parla per tutti, distogliendo spesso l’attenzione dalla figlia con dichiarazioni da ‘titolo’ contro la Fed Cup, sul doping e tanto altro. Da lì la figura, tra le più romanzate di sempre, del ‘padre-padrone’. Sergio commette errori, più o meno gravi, in campo e fuori dal campo. Nei rapporti con addetti ai lavori e non solo. Nessuno mette in dubbio ciò. Ma è Camila a decidere della propria vita e della propria carriera. Come quando Sergio le propone, a più riprese, di farsi da parte per prendere un nuovo coach. Camila rifiuta. Sempre. Categoricamente.
E qui arriviamo alla prima certezza: quali risultati avrebbe potuto raggiungere Camila Giorgi con un altro allenatore? Nessuno. Perché mai avrebbe abbandonato la figura del padre come coach.
Negli anni, intanto, i difetti di Camila sono sempre gli stessi. Il tennis è poco vario, questo è certo, ma ad esempio il dritto, negli anni, cambia tantissimo. Da piatto sempre e comunque all’utilizzo sempre più frequente del top spin. La ricerca della rete è palese, ma il piazzamento per giocare la volée è spesso errato. I doppi falli sono troppi. Il rovescio è quasi sempre poetico, ma ogni si perde. Manca la fase difensiva. Camila è veloce e reattiva, ma non si muove sempre nella maniera giusta. Nonostante ciò, arriva a ridosso delle 30 nel 2015, prima di due anni ricchi di infortuni.
La testa? La testa spesso manca in momenti importanti e in match decisivi per il salto di qualità. Camila gioca bene, comanda, poi commette qualche errore e si incarta. La parte mentale non è ancora all’altezza. Serve tempo. Ricordate la sua storia? I pensieri intrusivi spesso mandano al manicomio, in campo, persone calme e pacate. Figurarsi chi calmo e pacato è solamente all’apparenza. A chi tiene e trattiene tutto dentro.
Gli infortuni. Il vero tallone d’achille di Camila. Probabilmente è mancato qualcosa nella prevenzione, perché tra polso, spalla e tanti altri piccoli e fastidiosi problemi, Giorgi non trova praticamente mai continuità. Anche nel 2018, anno dei quarti a Wimbledon e della vittoria a Linz, è costretta a saltare ben tre tornei ‘Mandatory’. Tra 2019 e 2020, complice ovviamente il lockdown dovuto al Covid-19 (che Camila ha avuto a inizio 2021 a Charleston, tanto per non farsi mancare nulla), Giorgi gioca solamente 60 incontri. Una miseria. Crolla in classifica tra 70 e 90 al mondo. Tutto da rifare per l’ennesima volta.
La consapevolezza però è sempre presente. In Sergio, in Camila, in Tathiana Garbin. La capitana azzurra ha certamente rappresentato una figura importante per la Giorgi, costruendo un ottimo rapporto di fiducia, anno dopo anno.
Cosa è accaduto dunque? Perché è esplosa Camila a Montreal?
I tasselli, finalmente, sono andati tutti nel posto giusto al momento giusto. Nel tennis può accadere a 18 anni, a 25, a 30. Oppure mai. Anzi, spesso non accade mai. La parte mentale è migliorata tanto, perché Camila è cresciuta come persona, è maturata come donna. Probabilmente un po’ in ritardo rispetto alle altre ragazze del circuito Wta. Oggi è forte, reagisce alle difficoltà, sa giocare i punti importanti.
Va detto che Montreal sembra il culmine di una stagione iniziata nel migliore dei modi con una grande preparazione di 6 settimane in cui la parte fisica ha finalmente trovato forza, reattività e solidità. Un solo infortunio, non grave. Una racchetta nuova. Una scelta di mesi, complicata, che alla fine ha permesso a Camila di ripartire con un nuovo attrezzo.
Al Foro Italico, nonostante la sconfitta incredibile contro Sara Sorribes Tormo (che sarebbe un incubo per chiunque) dopo 89 ore di gioco, gioca bene. Sergio è contentissimo (‘Non giocava così da anni. Finalmente ci siamo’, mi confida). A Parma due prove non convincenti, ma per fortuna arriva l’erba. LA superficie, da sempre, per Giorgi. Batte Pliskova, Sabalenka, gioca bene e in maniera intelligente. Il suo tennis infiamma, come sempre. Gioca bene i punti importanti, come a Tokyo 2020, dove raggiunge i quarti annichilendo Brady, Vesnina e ancora Pliskova.
Il tennis, dunque. Prima di arrivare a Montreal va analizzato nel dettaglio il tennis.
Servizio: solido, sicuro. Con la prima arrivano tanti punti diretti e con la seconda (Sergio glielo ripete da anni), carica ma non rischiata, si prende comunque in mano lo scambio. Il dritto è solido, la palla ormai gira che è un piacere in palleggio. Non esce subito dalla diagonale, sta lì, sa che le altre possono far fatica a reggere lo scambio. Il rovescio è sempre poetico, ma anche in difesa e addirittura staccando la mano trova qualche punto. Son dettagli che danno fiducia. A rete va spesso e ora sa dove piazzarsi e come colpire (fino a tre anni fa colpiva correndo senza nemmeno rallentare). E poi le scelte tattiche, sempre più sicure e corrette. Fisicamente non è mai stata così bene. Ha fiducia e consapevolezza.
Camila vince e dedica la vittoria a mamma e papà. Facile, leggendo tutta la sua storia, capirne i motivi. È un cerchio che si chiude. Dopo tre vittorie consecutive contro Karolina Pliskova. Quella stessa Pliskova con cui aveva perso, con match point, la finale di Linz 2014 7-6 al terzo. Un match assurdo, vinto più volte e alla fine lasciato lì, giocando malissimo i punti importanti. Giocando come se i punti fossero tutti uguali. Oggi ogni punto è diverso e Camila lo sa. Sa anche che le sue passioni, oltre al tennis, sono tante. Che non c’è solo il tennis, il suo lavoro, nella sua vita. Distingue, capisce, sente, vede.
Camila Giorgi è un’altra giocatrice semplicemente perché è un’altra persona. Cresciuta, maturata.
E allora Camila, come direbbe papà Sergio, ‘abbraccio triplo’. Brava, sei entrata nella storia del tennis italiano. Ma soprattutto hai dato vita a un pezzo importante e meraviglioso della tua storia. Ed è la cosa che conta di più.