Rugby

Rugby, Sei Nazioni 2017: sul filo del fuorigioco. Ecco perché l’Italia ha fatto impazzire l’Inghilterra

Gli azzurri a Twickenham durante l'inno nazionale - foto FIR

Twickenham diventa una bolgia, i tifosi contestano infuriati, i giocatori in campo si guardano stupiti. Durante il match di Sei Nazioni 2017 tra Inghilterra e Italia, il tallonatore e capitano dei Leoni Dylan Hartley e il numero 7 James Haskell vanno dall’arbitro francese Romain Poite e gli chiedono cosa fare per contrastare la trappola dell’Italia. Risposta da oscar, nel pomeriggio che ha preceduto la grande notte dell’Academy: “Sono l’arbitro, non il vostro coach”. Della serie: arrangiatevi. Intanto, in tribuna, Conor O’Shea, insieme all’allenatore della difesa Brendan Venter se la ridono.

Ma cosa sta succedendo? Prendiamo in mano il regolamento del rugby e cerchiamo di capire una delle strategie (non l’unica, in verità) che ha permesso agli azzurri di andare al riposo in vantaggio 5-10 e di essere competitivi fino al 65° minuto. Articolo 16: la ruck.

Si tratta della cosiddetta mischia aperta: il giocatore in possesso di palla viene placcato dall’avversario che, a sua volta, viene agganciato da un compagno di squadra. La ruck, a questo punto, può dirsi formata e possono parteciparvi altri giocatori, purché si leghino al compagno di squadra con l’intero braccio e purché restino in piedi. I giocatori che si aggiungono alla ruck devono farlo da dietro (ovvero, dietro al piede dell’ultimo compagno di squadra che si trova in ruck): se si posizionano accanto alla ruck, sono in fuorigioco (che, a quel punto, viene sanzionato con un calcio di punizione).

Ma ecco qui la piega del regolamento che ha permesso all’Italia di beffare gli avversari: se nessun difensore, eccetto il placcatore, contesta la ruck avversaria che si sta formando, questa semplicemente non è ruck e i difensori possono piazzarsi dove vogliono senza finire in fuorigioco. In sostanza, gli azzurri hanno trasformato puntualmente le ruck in placcaggi semplici, distribuendosi meglio nel campo e interferendo più volte con il possesso palla inglese.

Del resto, come ha detto il pilone azzurro Michele Rizzo, che in Inghilterra gioca nel Leicester e che rientrava in nazionale dopo un lungo periodo di assenza a causa di un infortunio, “non aveva senso contestare la ruck a una squadra dal possesso forte”. Meglio, quindi, cercare una soluzione alternativa, fantasiosa, da far perdere la bussola. Gran merito, dunque, alla strategia di O’Shea. E pazienza se Eddie Jones, coach dell’Inghilterra, nel finale di gara era su tutte le furie e andava urlando a destra e a sinistra “questo non è rugby”. La sua è la frustrazione del massimo rappresentante tecnico di un popolo che le regole del rugby le ha scritte e che, in un pomeriggio di grande foga agonistica, ha dimenticato un loro passaggio. Messo ben in evidenza, invece, da un allenatore irlandese, da un suo collaboratore sudafricano, da un arbitro francese e da una squadra italiana. Quella stessa squadra che gli inglesi vorrebbero estromettere dal Sei Nazioni perché “non offre alcun contributo tecnico al torneo” (cit. Clive Woodward).

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