Ci siamo. Fra poche ore l’Italia saprà se da Monaco di Baviera dovrà spostarsi a Wembley per giocare una o due partite ancora, se un intero Paese sarà in estasi sportiva, se davvero con la caduta di tante big si potrà pensare di alzare al cielo un trofeo vinto soltanto nel lontanissimo 1968. L’anno delle ribellioni, quello che fece da spartiacque nel mondo non sportivo ma che di fatto risulta la prima e unica volta in cui un Europeo ha portato davvero bene agli azzurri. La Nazionale è pronta a giocarsela ad armi pari contro il Belgio numero uno nel ranking Fifa e già questo è un bel successo. Poi, occorre convertire in campo tutti i bei discorsi fatti su questa squadra, che non sembra esprimere i valori storici del calcio italiano ma che piuttosto è una sintesi di tante cose viste qua e là, in salsa azzurra ma con un gioco che raramente si era mai visto in una squadra non di club.
Ecco, gli elogi sperticati è bene metterli da parte per stasera. I nostri rivali sono forti, fanno pretattica e in campo schiereranno, oltre ai super Lukaku e Mertens che conosciamo benissimo dalla Serie A, anche il fuoriclasse forse più decisivo dei Diavoli Rossi, quel De Bruyne che sembrava in dubbio, ma solo per chi voleva sognare in grande. Lui ci sarà, Hazard forse no, ma non sposta granché l’equilibrio visto che è solo un lontano parente di quello che fu. E poi Courtois in porta, la gioventù sugli esterni, la fisicità dei difensori in un modulo che dire camaleontico è poco.
Ma anche Mancini ha le sue risorse: abbiamo tanti possibili ballottaggi, probabilmente terremo fuori sia Locatelli che Berardi in favore di Verratti e Chiesa. Non ci mancano le alternative, non ci manca la qualità: ora serve lo spessore internazionale, quello che è un po’ mancato contro l’Austria, anche se era prevedibile. Ma col Belgio non partiamo da favoriti, anzi: con umiltà e con la voglia di regalare un sogno a sessanta milioni di italiani dopo due anni da incubo, può permetterci di compiere l’impresa.