“Negru”, “Nero”, “Negro”. Come volete voi. Il razzismo è ancora tra noi e non ci serviva Psg-Basaksehir per accorgercene. Finché continueremo a distinguere le persone per il colore della pelle non abbiate paura a chiamarlo razzismo. Perché così è. Ciò che è successo in Champions League con un tale di nome Sebastian Coltescu può avere due significati da non sottovalutare.
Il primo, quello negativo, ci testimonia quanto ancora oggi, anno 2020, si facciano passi in avanti in quasi tutti i campi, dalla tecnologia alla medicina, ma non in quello a sfondo razziale. Quelle distinzioni di proprietà d’altre epoche che proprio non riusciamo a toglierci di dosso. Un mattone pesantissimo, tanta retorica e siamo sempre al punto di partenza.
Il secondo si spera possa essere una conseguenza ed è tutto merito di chi lotta e non fa passare inosservata una parola apparentemente semplice. Abbandonare il campo rappresenta un segnale di chi non si arrende e ancora oggi, anno 2020, è intento a cambiare una rotta apparentemente inamovibile.
Non sarà il segnale della svolta. Tuttavia non intervenire con azioni forti rappresenterebbe un errore al pari della frase razzista, nascondendosi dietro a pregiudizi e distinzioni che nel 21° secolo dovrebbero solo imbarazzare.
Che il ‘negro’ in questione, citato da tale Coltescu, provenga da un membro della UEFA rappresenta qualcosa di ancora più grave e inaccettabile. Non solo in curva o in mezzo alla strada. Anche dentro ad un’associazione che recita lo slogan “Say no to racism” sono rimaste certe convinzioni. E questo ci deve far riflettere.