Nel rinnovato e ultra tecnologico Jawaharlal Nehru Stadium di Nuova Delhi, un drone consegna a centrocampo il pallone ufficiale di India 2026. Di fronte, ci sono la nazionale di casa e il Belgio, campione del mondo di Qatar 2022. I diavoli rossi sono quasi gli stessi di quattro anni prima, il nucleo della formazione che raggiunse il terzo posto nella Coppa del Mondo U17 del 2015. E che si affida alla punta d’origine italiana Adriano Bertaccini, atteso alla sua definitiva consacrazione.
Gli spalti sono gremiti. Settantamila spettatori salutano l’ingesso dell’India nel gotha del calcio mondiale. Gianni Infantino, nel bel mezzo del comfort della tribuna autorità, sorseggia un frullato al cardamomo e si gode la sua creatura: 48 squadre, moviola in campo, rigori già a partire dai match dei gironi, mai più tempi supplementari.
Fantacalcio? Forse. Ma il vento che soffia da Zurigo va verso questa direzione. O almeno verso una direzione simile. La Fifa del dopo-Blatter sembra aver intrapreso la strada della rivoluzione per cancellare, con un colpo di spugna rapido, le nefandezze del suo passato. E tra il 9 e 10 gennaio 2017, durante il Consiglio federale, potrebbe decidere di concentrarsi su una Coppa del Mondo più tecnologica, altamente spettacolare e più inclusiva. Modernità e globalizzazione.
È dall’ottobre scorso che Infantino sta spingendo, in coerenza con il suo programma elettorale, per una formula diversa del mondiale di calcio. Si è parlato addirittura di un maxi play-off da disputare direttamente nel Paese ospitante: 16 squadre avrebbero l’accesso garantito alla fase finale, le altre 32 se lo giocherebbero in una sfida secca, preliminare alla fase calda della manifestazione. Tuttavia, nel mese di dicembre, la proposta ha cambiato connotati: sempre un mondiale a 48, ma con ben 16 gruppi da 3 squadre ciascuno, le prime due con accesso alla fase a eliminazione diretta.
Che l’idea sia qualcosa di più di una semplice suggestione, lo dimostra anche il metodo anti-biscotto studiato da Infantino per evitare spiacevoli inconvenienti. Nei gironi da tre non ci sarebbe più la possibilità di giocare partite in contemporanea: due squadre avrebbero il vantaggio di conoscere il risultato dell’altra avversaria, potendo “aggiustare” l’ultimo match del girone a proprio uso e consumo. Per evitare un proliferare di punteggi improbabili (vedi Danimarca-Svezia 2-2), la Fifa starebbe pensando di abolire i pareggi e di decidere ai rigori le partite finite in parità. In più, visto il maggior numero di incontri di una formula così concepita (80 sfide in poco più di un mese) che metterebbero a dura prova sia la tenuta fisica dei giocatori, sia la possibilità di una copertura televisiva totale, altro elemento innovativo della proposta di Infantino sarebbe quello di abolire i tempi supplementari fino alla finale.
Va da sé che, nel torneo delle novità, ci sarà spazio per quella tecnologica per eccellenza. La VAR, la cosiddetta moviola in campo, tra dieci anni sarà completamente operativa, già messa a regime, priva dei piccoli bug di sistema evidenziati durante l’ultima edizione del Mondiale per Club in Giappone.
Ma perché sconvolgere completamente una formula ormai consolidata a partire da Francia ‘98? Perché scommettere sull’allargamento della competizione affrontando anche eventuali problemi di gestione? Le parole magiche sono due: politica ed economia.
La prima, intesa nella sua accezione sportiva, serve a Infantino per consolidare la sua influenza anche sulle federazioni non europee: partecipare ai Mondiali significa ottenere una ingente quantità di finanziamenti, un vero toccasana per alcuni movimenti calcistici. In un’edizione a 48 squadre, ad esempio, la Confederazione Africana (CAF) passerebbe da 5 a 7/8 partecipanti, quella asiatica (AFC) da 4/5 a 5/6, quella dell’Oceania (la OFC, che attualmente non ha una rappresentanza assicurata alla fase finale della Coppa del Mondo) avrebbe senz’altro una squadra nazionale, o addirittura due, a disputare la manifestazione.
La seconda, intesa nella sua accezione universale, farebbe aumentare a dismisura gli investimenti da parte di quelle aree del mondo dove la disponibilità di denaro è maggiore. Non a caso, nel nostro esempio iniziale, abbiamo immaginato l’edizione della Coppa del Mondo 2026 in India, nazione sempre più attratta dal calcio e che farà le prove generali nell’ospitare una manifestazione internazionale già nel 2017 (il Mondiale U17). L’India e la Cina rappresentano il 37% della popolazione mondiale, sono due potenze economiche dominanti e, in prospettiva, costituiranno i mercati in maggiore espansione. Ovvio che la Fifa ci stia facendo un pensierino.
Intanto, Infantino ha recentemente incassato i pareri positivi di Diego Armando Maradona e di Samuel Eto’o. Secondo la loro opinione, l’allargamento a 48 squadre permetterebbe a realtà che non hanno mai vissuto l’esperienza della Coppa del Mondo di partecipare a questo spettacolo straordinario.
Sarà, ma noi nel frattempo abbiamo fatto due conti. Con una piccola proporzione, abbiamo attribuito a ciascuna confederazione il numero di nazionali che prenderanno parte ai Mondiali 2026 a 48 squadre. Secondo questo calcolo, l’Africa passerebbe da 5 squadre a 7-8 squadre, il Nord e Centro America da 3-4 a 5-6, il Sud America da 4-5 a 7-8, l’Oceania da 0-1 a 1-2, l’Europa da 13 a 19-20, l’Asia da 4-5 a 5-6. Basandoci sui rapporti di forza stabiliti dal ranking Fifa attuale, la griglia di partenza della Coppa del Mondo sarebbe la seguente:
Solo Burkina Faso e Panama, dunque, sarebbero alla loro prima partecipazione, mentre l’allargamento renderebbe più agevole il coinvolgimento di Cina, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Corea del Sud, stati appetibili principalmente dal punto di vista economico e che poco hanno a che fare con lo spirito inclusivo di cui la Fifa si sta facendo promotrice e sul quale ha ottenuto diversi consensi e commenti favorevoli. Insomma, a pensar male si fa peccato, ma spesso (soprattutto quando si parla di denaro) si indovina.