Un pallone che torna a rotolare, uno nobile si intende, visto che altrove – parliamo di luoghi esotici, certo – il calcio non si è mai fermato. In Germania, però, è ripartito, ben prima rispetto a chiunque. E dire che da quelle parti il coronavirus non è stato certo una carezza: i contagi sono poco inferiori rispetto a quelli dell’Italia, i morti decisamente meno. Ma si tratta comunque di numeri di un certo rilievo. E mentre nel Bel Paese la ripresa o meno è un vero e proprio rebus, la Bundesliga non ha perso tempo e ha riaperto i battenti nel primo giorno utile. Letteralmente.
La ripartenza del calcio tedesco ci ha restituito una boccata d’aria fresca dopo mesi di repliche, ha aiutato le tv a riempire il palinsesto, ci ha fatto sperare che la tanto agognata normalità sia dietro l’angolo, ma ci sbagliavamo. Il riavvio della Bundesliga, per il resto, è la cronaca di una morte annunciata. Quella di un gioco che, impossibile negarlo, si fonda sulla presenza del pubblico sugli spalti. Tifosi che si disperano, festeggiano, si abbracciano dopo un gol. E come loro, i giocatori. Purtroppo, però, per rivedere di nuovo Bayern, Borussia e le loro sorelle, il prezzo da pagare è alto: stadi vuoti, e questo è inevitabile, ma anche una lunga lista di controsensi. Perché i giocatori in panchina siedono distanziati e indossano la mascherina – alcuni posizionati addirittura nella prima fila della tribuna – e gli undici in campo, invece, non fanno altro che entrare a contatto, che sia in mezzo al campo o per un calcio d’angolo? E che dire del divieto di esultare? Come Monaco di Baviera senza l’Oktoberfest. C’è chi ha preso in giro questa decisione della federcalcio tedesca (i giocatori del Borussia al gol di Haaland), chi ha deciso di far finta che non ci fosse alcuna limitazione (vero, Hertha?), ma la sensazione diffusa è stata quella di vedere il calcio privato della gioia, partite giocate “per contratto” e non in nome dell’amore per il gioco più bello del mondo. E senza gioia, non può esserci il calcio. È vero, probabilmente è comunque meglio vedere una partita del genere, con tutte le sue contraddizioni, che non vederne affatto. O forse no. Perché questo, purtroppo, non è il calcio che conosciamo, ma solo un suo surrogato.