“Nel futuro chiunque sarà famoso per quindici minuti”. Andy Warhol – o chi per lui – ci aveva visto lungo e nel secondo anno del nuovo millennio, data abbastanza futuristica rispetto a quella in cui fu partorita questa fortunata quanta enigmatica frase, anche il mondo del calcio, nel suo piccolo, diede per l’ennesima volta prova di essere terreno fertile per l’osservazione empirica di qualsiasi teoria. Era l’11 maggio del 2001 quando un attaccante finito poi nel dimenticatoio e protagonista di una carriera ai confini dell’anonimato riuscì a mettere la propria firma in quello che probabilmente è il derby di Milano che, nella memoria sia dei milanisti che degli interisti, nessuno potrà più scordare. Inter-Milan 0-6, un risultato tanto assurdo quanto vero, un’umiliazione per alcuni, una libidine per altri, il punto più alto della carriera, infine, per Gianni Comandini.
PATTO COL DIAVOLO – Nato a Cesena nel 1977, a ventitré anni Comandini, ruolo attaccante ma fino ad allora troppi alti e bassi con la squadra della propria città, si trasferisce al Vicenza, sempre in Serie B, dopo aver segnato 14 gol nell’ultimo campionato cadetto con i romagnoli. In maglia berica sembra esserci l’exploit: 20 gol non si segnano per caso e così è addirittura il Milan a mettere gli occhi su questo calciatore che non faceva della tecnica la sua arma migliore, ma che sembrava poter assolutamente dire la sua anche in Serie A. Nell’estate del 2000, dunque, Comandini stringe il proprio patto con il Diavolo, sponsorizzato anche dalla vittoria di Euro Under 21 sotto la guida di Tardelli, giocando da titolare in coppia con Ventola. Proprio all’allenatore campione del mondo 1982 darà una grossa delusione diversi mesi dopo, scrivendo quella che probabilmente è la pagina più triste per l’Inter nella storia dei derby. E al contempo l’unico giorno felice, immaginiamo, del centravanti romagnolo in maglia rossonera.
TITOLARE NEL DERBY – La sua prima (e ultima) stagione al Milan, infatti, fu un disastro a livello di minutaggio: la concluderà con appena 13 partite giocate, alcune di queste soltanto spezzoni da subentrato, chiuso da mostri sacri del calibro di Shevchenko. La colpa di un campionato così travagliato per Comandini, però, è anche da attribuire a una sfilza di infortuni, la maggior parte dei quali non gravi, che non gli hanno permesso di entrare nelle grazie di Zaccheroni. Il tecnico, in ogni caso, era al capolinea della sua avventura con i meneghini e fu esonerato a marzo con la squadra fuori dalla zona Champions e fuori dalla stessa Champions dopo la clamorosa eliminazione per mano del Deportivo La Coruna. Al suo posto subentra Mauro Tassotti, promosso da allenatore in seconda e affiancato dall’esperienza di Cesare Maldini. La stagione va conclusa in maniera dignitosa e arriva un sesto posto stiracchiato, con un ulteriore crollo nelle ultime quattro giornate in cui arrivano solo due punti. Ma è alla quintultima che si legano tutti i ricordi rossoneri di quell’annata particolare: andava in scena il derby Inter-Milan e i cugini nerazzurri se la passavano altrettanto male dopo l’esonero di Lippi, rimpiazzato da Tardelli. Si gioca in un Meazza pieno ma decisamente scontento e in palio ci sono le ultime chance per entrambe di lottare per la zona europea. Gianni Comandini, per una volta, è titolare. Quello che accade dopo il fischio finale è ordinaria follia.
LA DOPPIETTA – Minuto 3 sul cronometro dell’arbitro Collina, Serginho recupera un pallone in mezzo al campo e galoppa verso la linea di fondo: con un filtrante perfetto pesca Comandini che ha il merito di trovarsi al posto giusto nel momento giusto e che, smarcato, in equilibrio precario impatta la sfera e la deposita in rete. Esultanza incontenibile per lui, visto che si tratta del primo gol in Serie A in carriera e, dunque, del primo col Milan. Al 18′ Comandini decide di entrare in qualche modo nella memoria collettiva e trova addirittura la doppietta: cross dalla sinistra e colpo di testa in torsione che dimostra ancora una volta quanto non si stesse parlando di un “brocco”, ma soltanto di un giocatore che non era riuscito a esprimersi come avrebbe voluto e che non ne sarebbe più stato in grado. Intanto, era già 0-2 e l’attaccante romagnolo si era guadagnato finalmente i suoi quindici minuti di celebrità. E non fu certo solo un quarto d’ora, visto che ebbe la fortuna di segnare questa doppietta in una stracittadina che ancora oggi passa alla storia per il clamoroso punteggio tennistico: 0-6 in cui andarono a segno anche Serginho, Giunti e Shevchenko con una doppietta.
METEORA MA NON TROPPO – Poteva essere il trampolino di lancio per Gianni Comandini, così non fu: a fine stagione lasciò il Milan approdando all’Atalanta che sborsò la cifra record per le proprie casse di 30 miliardi di lire, ma furono appena sette i gol messi a segno in due anni, il primo da titolare inamovibile. L’avventura con gli orobici culminò nella retrocessione: primi sei mesi in nerazzurro, poi trasferimento al Genoa sempre in Serie B, con un gol all’attivo. La Dea nel frattempo viene promossa e torna dal prestito, appena in tempo per giocare due partite in sei mesi, poi nuova cessione alla Ternana, in Serie B, dove segna appena un gol che si rivelerà essere l’ultimo della sua vita calcistica. Ad appena 29 anni Gianni Comandini decide di ritirarsi: troppi infortuni avevano minato la propria carriera e così nel 2005 via i tacchetti, sostituiti dalle cuffie da deejay in Riviera e dalla gestione di un ristorante nella sua Cesena. E’ stato una meteora del calcio italiano, forse un talento sprecato, forse no: di sicuro, giocando appena tredici partite e segnando due gol (di peso inestimabile) è riuscito a trovare un posto eterno nella memoria dei tifosi del Milan.
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