FBI e Homeland Security pronti a lanciare l’allarme contro hacker cinesi intenzionati a rubare documenti segreti sulla lotta al nuovo coronavirus. Secondo il New York Times infatti, il dossier americano parla di hacker pronti ad agire da almeno una decina di paesi, tra cui l’Iran, la Corea del Sud (storico alleato degli USA) e addirittura il Vietnam. Secondo il quotidiano, nel dossier si parlerebbe di “caccia a dati relativi a vaccini, trattamenti e test” ad opera di “attori non tradizionali“, vale a dire ricercatori e studenti che operano negli Stati Uniti, ma guidati da Pechino nel furto di dati nei laboratori di ricerca. Alcuni ex funzionari hanno spiegato al quotidiano il motivo di accuse tanto precise: si tratta di una sorta di avvertimento che Cyber Command americano e Nsa, l’agenzia per la Sicurezza nazionale, lanciano ai paesi coinvolti.
Altra accusa dunque di Washington alla Cina, dopo le dichiarazioni del segretario di Stato Mike Pompeo che incolpava i cinesi di aver fatto uscire il virus dal laboratorio di Wuhan (dichiarazioni poi ritirate perché non appoggiate nemmeno dall’Intelligence Americana). L’accusa ai ladri di documenti di ricerca sarebbe però ben fondata. L’FBI da mesi organizza breafing con i ricercatori per avvertirli del pericolo, tanto che alcuni studiosi hanno definito “paranoici” tutti questi avvertimenti. Inoltre, hacker iraniani sono già stati sorpresi nel tentativo di violare Gilead, la casa produttrice del farmaco Remdesivir, uno dei più efficaci (almeno per quanto visto finora) nella lotta al virus e per questo approvato dall’agenzia governativa Food and Drug Administration. Il NYT però solleva qualche dubbio sulla corretta attribuzione della colpa, ricordando come nel 2017 gli iraniani vennero accusati di un cyber attacco ad un impianto petrolchimico saudita che in realtà venne messo in atto da hacker russi.