Uno dei pochissimi titoli che Franco Baresi non ha mai vinto, è anche quello che più avrebbe meritato. Nel 1997 Silvio Berlusconi lasciò in fretta e furia le discussioni nell’ambito della Bicamerale D’Alema, quella più controversa della storia della Repubblica e anche l’ultima, per recarsi a San Siro e concedere al 6 della storia un fittizio Pallone d’Oro. Un premio dal valore puramente simbolico che probabilmente non ha mai trovato spazio nello scaffale dei trofei. E chissà se di spazio ce n’è ancora su quello scaffale che a 23 anni di distanza dal ritiro dal calcio giocato continua a riempirsi di riconoscimenti individuali post carriera. Nel 2013 Franco Baresi ha trovato posto nella hall of fame del calcio italiano e un anno prima è diventato il quarto italiano a lasciare la sua impronta nella Walk of Fame del calcio, cioè il Golden Foot. Due premi individuali che ovviamente restano in ombra rispetto alla mole di trofei conquistati in carriera da uno dei difensori più forti della storia del calcio. In ordine di prestigio: un Mondiale, tre volte la Champions League, due Coppe Intercontinentali, sei Scudetti, tre volte la Supercoppa Europea, quattro la Supercoppa Italiana.
Le tre partite che più di tutte raccontano chi è Franco Baresi
3. Genoa-Milan 1-2 (18 aprile 1982)
Perché scegliere una partita della stagione più disastrosa per i colori rossoneri? Perché Franco Baresi non è stato una leggenda solo quando è stato il momento di alzare trofei, lo è stato nel percorso che ha portato il suo Milan sul tetto d’Europa. E il percorso non è stato facile. Quando Franco Baresi divenne capitano aveva solo 22 anni, il Milan aveva un anno di Serie B alle spalle ma il numero 6 decise di non lasciare i colori rossoneri nonostante le offerte. E non lo fece nemmeno a seguito della seconda retrocessione, nel 1982. Eppure in quella stagione il Milan ebbe un’occasione per riscattare un destino drammatico. E fu al Ferraris in occasione dello scontro diretto contro il Genoa. Baresi, tornato solo poche settimane prima da una malattia, fu tra i migliori in campo e siglò il gol vittoria su rigore. Alla fine non bastò. Ma la tenacia e la fedeltà non sono mai state in discussione, nemmeno in giovane età.
2. Benfica-Milan (23 maggio 1990)
La finale di Coppa dei Campioni 1989/90 contro il Benfica di Aldair ed Eriksson è probabilmente uno dei testi sacri del Baresismo. C’è tutto delle sue caratteristiche di gioco: classe, potenza fisica e quella forza esplosiva nelle gambe che gli permetteva di destreggiarsi con i suoi caratteristici strappi offensivi con falcate poderose. Anche se il suo personaggio nell’immaginario collettivo si è imposto grazie al simbolo del tackle scivolato e del braccio alzato per il fuorigioco. Quell’uscita palla al piede è un altro dei suoi marchi di fabbrica. E in Benfica-Milan c’è veramente tutto.
1. Italia-Brasile (18 luglio 1994)
Se Benfica-Milan è il testo sacro, Italia-Brasile è probabilmente il match che più di tutti ha visto sfiorare il livello di prestazione perfetta da parte di un giocatore di calcio. Non si è mai visto un calciatore prendere 9 in pagella (il voto della Gazzetta del giorno dopo) e terminare la partita con le lacrime agli occhi e le mani nei capelli. O forse non si era mai visto un calciatore giocare quel tipo di partita ventiquattro giorni dopo un’operazione al menisco. A Pasadena quel giorno il calcio non aveva il volto di Romario o Dunga. Quel giorno il calcio aveva il numero 6 sulla schiena.