Amarcord

L’angolo del ricordo, A.C Green: un “vergine” di ferro da 1.192 partite consecutive

A.C Green
A.C Green

18 aprile 2001: A.C Green completa la sua 1.192esima partita consecutiva, estendendo il record da lui già detenuto. Quando si pensa a Los Angeles l’immaginazione fotografa inevitabilmente le spiagge, il clima mite e lo star system hollywoodiano, fatto di dive e divi di mitologica bellezza, di sfrenata mondanità, spesso accompagnata da feste infarcite di eccessi, vizi e trasgressione. È in questo scenario da Sodoma e Gomorra che al Draft del 1985 i Lakers, alla ventitreesima chiamata assoluta, scelgono l’ala A.C. Green da Oregon State. Appena sbarcato al Forum, Green comincia ad allenarsi con i suoi nuovi compagni e si rende subito conto che non sarà facile per lui adattarsi. O per i suoi compagni adattarsi a lui.

Cresciuto a Portland, fino al liceo è un ragazzo estremamente timido, affetto da singhiozzo cronico, non certo un acceleratore per la socializzazione, e ha grande difficoltà a relazionarsi con gli altri. Tuttavia sul parquet è una di quelle macchine da rimbalzo che sembra avere un istinto innato per sapere dove andrà a finire il pallone dopo un tiro sbagliato. È totalmente privo di personalismi: tutto quello che produce è al servizio dei compagni. Quando c’è da segnare, segna; quando c’è da buttarsi a terra per un pallone, lo fa; i rimbalzi sono dati per scontato, così come le difese dure ma impeccabili.

C’è un solo particolare che turba gli scout NBA: Green è vergine. La sua profonda fede religiosa l’ha portato a scegliere la totale astinenza dal sesso, impulso al quale potrà lasciare libero sfogo solo dopo il matrimonio. La scelta del general manager Jerry West, dunque, non può essere casuale. Sa benissimo che l’approdo di un “atleta di Dio” non potrà che avere un effetto su quel roster e soprattutto su Magic: è probabile che nella sua infinita saggezza Mr. Logo volesse proprio vedere con i suoi occhi quale impatto Green potesse avere dentro e fuori dal campo.

Il primo impatto, come prevedibile, è lo scherno da parte dei compagni: “Il mio anno da rookie fu il più complesso: i compagni cominciarono a prendermi in giro e scommettere su quando avrei perso la verginità.Non ce la farai mai a resistere, A.C.! Una volta che vedrai cosa succede nel mondo NBA, farai di tutto per avere quelle ragazze meravigliose!”. Gli scherzi alle matricole, perpetuati di norma in tutte le squadre della Lega, nel suo caso sono ancora più divertenti. In più di un’occasione i suoi compagni, capitanati ovviamente da Magic, gli spediscono delle “professioniste” in abiti succinti a bussare alla sua camera d’albergo durante le trasferte. La risposta di A.C.? Porta che resta chiusa e preghiera ad altissima voce dedicata alla signorina.

Dopo l’interlocutorio anno da rookie, in cui prende le misure con un mondo completamente nuovo, A.C. comincia a far parte stabilmente del quintetto iniziale: Kareem Abdul-Jabbar, James Worthy, Magic Johnson, Byron Scott…e lui. Pat Riley non riesce a fare a meno della sua grinta sotto i tabelloni, del suo costante sacrificio per la squadra. È un fondamentale ago della bilancia nei Lakers che concludono uno straordinario back-to-back nel 1987 e 1988, contro Celtics e Pistons. Nelle scene di festeggiamento del titolo del 1987, un dettaglio racconta bene come sia profonda la forza d’animo di A.C. I giocatori rientrano nello spogliatoio per festeggiare, e viene consegnata una bottiglia di champagne a ognuno di loro. Appena riceve la sua, Green la poggia subito a terra: anche l’alcool non è ammesso, nemmeno in un momento di euforia come questo.

In quelle due straordinarie stagioni Green registra più di 11 punti e 8 rimbalzi di media a gara, tirando con oltre il 50% dal campo. Arrivano altri titoli, altri riconoscimenti (tra cui l’All-Star Game nel 1990) che portano anche grande notorietà, ma nulla riesce a scalfire le sue convinzioni e a cambiarlo minimamente. Disse Byron Scott di lui: “Quando era sul campo, A.C. si trasformava completamente, dall’uomo buono e gentile che era fuori dal parquet, diventava una bestia, un duro, uno di quelli che si fanno sentire fisicamente, sempre aggressivo”. Opinione diversa da quella che lo stesso Green ha di se stesso: “Questo stile di gioco l’ho fatto mio leggendo l’Antico Testamento. Penso che Gesù sarebbe stato quel tipo di giocatore, molto aggressivo, inarrestabile”.

Oltre all’astinenza totale che lo accompagna per tutta la carriera, A.C. si distingue per un altro record, molto più significativo, almeno da un punto di vista sportivo. Dopo un infortunio a una mano che lo costringe a restare fuori per tre partite nella seconda stagione ai Lakers, Green comincia a non saltare neanche una gara. Passano gli anni, stagione dopo stagione, per 14 annate disputa ogni singolo incontro. Arriva addirittura a giocare 83 partite nella stagione regolare 1996/1997, unico nella storia NBA, a causa di uno scambio a metà stagione che lo porta da Phoenix a Dallas, che gli permette di giocare una partita in più rispetto a tutti i suoi colleghi. La serie di gare consecutive disputate da Green inizia il 19 novembre del 1986, in una partita vinta a San Antonio contro gli Spurs e temina con l’ultima della sua carriera, il 18 aprile del 2001, quando i suoi Heat sconfiggono gli Orlando Magic: 1.278 gare giocate su 1.281 totali, 1.192 partite consecutive.

Dopo due parentesi ai Suns e ai Mavericks, nel 1999 Green torna a Los Angeles. La squadra di Shaq e Kobe ha bisogno di essere puntellata con qualche giocatore che possa dare minuti di esperienza e intensità. Green sta talmente bene che finisce per partire titolare in tutte e 23 le partite dei Playoffs che riportano i Lakers al titolo per la prima volta dal 1988, quando Green già faceva parte della franchigia: terzo anello in carriera per “Iron Man”, come è stato ribattezzato in California.

L’anno dopo con i Miami Heat è l’ultimo della sua prestigiosa carriera, dopo la quale torna a vivere nella natale Portland, dove il 20 aprile del 2002 sposa Veronique, rompendo l’altro tabù: “Ne è valsa la pena di aspettare. Quando sposi la persona giusta al momento giusto non hai alcun rimpianto”.

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