Javier Zanetti, vicepresidente dell’Inter, ha dedicato una lunga lettera ai tifosi nerazzurri, in cui ripercorre la propria carriera con la maglia del club ma manda anche un messaggio di speranza. “Il tempo. Ho imparato a misurarlo, a pesarlo, a sentirmelo addosso. Tre minuti. Tre minuti o 5.382 giorni? Da Inter-Vicenza, 1995, al Bernabeu. Tre fischi lo hanno dilatato, compresso e poi fatto esplodere. Nel mio cuore e in quello di milioni di interisti. Valgono meno gli sforzi fatti, se perdi? no. Mi sono allenato meno bene, meno intensamente, quando non arrivavano le vittorie? No. Ho mai lesinato sforzi o energie, mi sono mai tirato indietro? No” è un passaggio della lettera.
Dopo il derby di Champions League contro il Milan, Zanetti era profondamente rammaricato, “Eppure io sono sempre stato una persona positiva, quel genere di capitano che cerca di trasmettere a tutti i compagni un messaggio diretto: il lavoro paga. E dalle difficoltà bisogna ripartire. Non molliamo. Allenamento dopo allenamento, corsa dopo corsa: insistere, cadere, migliorare. Dare tutto, sempre. Difficile raccontarselo in quei momenti? No, ci ho sempre creduto. Fermamente” racconta. “Del tifoso nerazzurro ho sempre ammirato la resilienza, la capacità di starti vicino. L’empatia, fin dal mio arrivo, è stata naturale. Gli interisti sono speciali: sempre presenti, trascinanti, con una profondità di sentimento fuori dal comune. Ed è anche per questo che quando il mio tendine d’Achille si è strappato, a Palermo, mentre mi accompagnavano negli spogliatoi, pensavo: ok, tra qualche giorno mi opero, poi inizio la riabilitazione e tra qualche mese torno in campo. Lo devo a me stesso e al popolo nerazzurro, dobbiamo salutarci come si deve” racconta Javier di quando a 39 anni si ruppe il tendine d’Achille.
Zanetti parla anche della propria vita privata: “Il tempo e l’amore sono l’ascissa e l’ordinata che racchiudono la traiettoria della mia vita. Ho sposato Paula, che conoscevo fin da quando giocava nella squadra di basket del mio quartiere, quando eravamo ragazzi. Il pallone l’ho amato ancor prima, quando lo inseguivo sui campi di terra battuta in Argentina mentre urlavo la telecronaca dei miei sogni: la nazionale, la Serie A. Fantasticavo, ma volevo anche ripagare i sacrifici dei miei genitori. Un insegnamento, quello della mia famiglia, che sono riuscito a tradurre con Paula nella Fundacion Pupi: un tentativo di dare un futuro migliore a tanti bambini. Io di figli ne ho tre: Sol, Ignacio e Tomas. In questi giorni capita di spendere i pomeriggi con loro, sul divano, a rivedere le partite del 2010. Guardavamo il derby del 2-0, pochi giorni fa, e dicevo a Tomy, che non mi ha mai veramente visto giocare: “Attento a cosa fa Milito adesso”, “Occhio a questa punizione di Pandev”. E poi ci abbracciamo tutti. Stanno studiando la nostra storia“.
“Che è importante, fondamentale. La porto con me ogni giorno in quello che faccio” prosegue Zanetti. “Sono arrivato nel 1995 con le scarpe da calcio in un sacchetto di plastica e ora sono il vice presidente di quella società. È un percorso straordinario, ma che comporta grandi responsabilità. Ho studiato, metto il mio cuore, la mia esperienza, la mia competenza per valutare tutto quello che passa sulla mia scrivania. È più complicato di quando dovevo correre dietro a un pallone, ma enorme: ho ancora la possibilità, in prima persona, di lavorare per costruire il futuro di questa società. Cerco di farlo con delle stelle fisse a cui guardare: i tifosi nerazzurri, la nostra storia, la maglia nerazzurra, le sofferenze e le gioie dalle quali siamo passati. Penso al futuro, voglio che sia bellissimo per noi interisti. Continuiamo a costruirlo, insieme” conclude Javier Zanetti.