Amarcord

L’angolo del ricordo, Ben Gordon: dal sesto uomo al rischio di togliersi la vita

4 aprile 1984, nasce a Londra Benjamin Ashenafi Gordon, detto Ben. Una guardia dotata di un ottimo tiro da tre che al termine della carriera poté vantare 11.084 punti a referto. Carriera iniziata a Chicago nel 2005 quando viene chiamato con la terza scelta assoluta al Draft. I paragoni con Micheal Jordan non mancarono in quanto gli stessi Bulls scelsero proprio “His Airness” con la chiamata numero tre nel lontano ’84. Inoltre la stessa posizione sul campo e la stessa fama di realizzatore misero Gordon sotto l’occhio della critica. La squadra era molto giovane ma composta da giocatori di talento come Hinrich, Deng, Chandler e Nocioni.

Negli schemi di coach Skiles però Gordon non era inserito nello starting five: infatti l’ex Sonics preferiva utilizzare un doppio playmaker (Hinrich e Duhon) per poi sfruttare le capacità realizzative di Gordon solo a match iniziato. La soluzione si rivelò efficace visto che la squadra riuscì ad arrivare terza a Est con il record di 47-35, qualificandosi per i playoffs. Dopo una bella stagione Ben Gordon vinse il premio di sesto uomo dell’anno, infatti ricevette ben 88 sui 125 voti disponibili (70.4 %) vincendo contro l’altro forte candidato, Ricky Davis dei Boston Celtics. Gordon diventò così il primo rookie nella storia della NBA a vincere questo trofeo da quando fu istituito nella stagione 1982/1983. Ha giocato tutte le 82 partite di regular season (solo 3 da titolare) con una media di 15.1 punti, 2.6 rimbalzi e 2.0 assist in 24.4 minuti. Ha tirato con 41% dal campo (record tra i rookie dei Bulls) e il 40.5 % da tre punti. Diventò il secondo giocatore di Chicago ad aver ottenuto il Sixth Man Award, come già fece Toni Kukoc nella stagione 1995/1996. I Bulls furono poi eliminati al primo turno dai Wizards ma per Gordon successivamente ci furono altre stagioni positive dal punto di vista realizzativo.

Diventò sempre più un terminale offensivo preciso e affidabile e nel 2007 riuscì a viaggiare a 21.7 punti di media a partita. Nel 2010 però lasciò Chicago: fu il termine della epoca di Ben Gordon ai Bulls e coincise anche con il declino del giocatore. Passò per Detroit, Charlotte e Orlando ma non riuscì a replicare numeri e prestazioni degli anni con i Bulls. Il declino del giocatore andò di pari passo col declino dell’uomo: Gordon, ritiratosi nel 2017, ha raccontato al sito “The Players’ Tribune” di come abbia più volte pensato addirittura al suicidio, arrivando anche a legarsi una corda attorno al collo sul punto di impiccarsi. Una notizia sconcertante se si tiene di conto il fatto che non aveva mai aveva avuto problemi comportamentali nei suoi trascorsi in NBA: terminata la carriera cestistica è arrivato anche a farsi arrestare quattro volte nel giro di cinque mesi.

Ed è stata proprio la fine della sua carriera a innescare tutto: C’è stato un momento nel quale pensavo a uccidermi ogni giorno per circa sei settimane. Salivo sul tetto del mio condominio alle quattro di mattina, mi mettevo sul bordo del cornicione e guardavo giù. Mi spingevo avanti e indietro, pensando solo: ‘Sto per farlo, B. Sto per scappare da tutta questa m***a’. E’ successo proprio dopo il mio ultimo anno in NBA, e vivevo in un edificio ad Harlem. Avevo perso la mia carriera, la mia identità e la mia famiglia praticamente simultaneamente. Ero depresso. Non mangiavo. Non dormivo. E quando dico che non dormivo, sto parlando di un livello completamente superiore di insonnia. Ogni notte mi svegliavo alla stessa ora, come un orologio. E lì è quando vengono fuori i demoni. Quando sei sveglio tutta la notte, c’è silenzio e sei solo con i tuoi pensieri più profondi: lì è quando l’oscurità inizia a prendersi la tua intera psiche. Presi una di quelle corde per saltare, con l’elastico, e me la legai attorto al collo. Presi una sedia e mi impiccai, davvero. Scappare. Semplice. Sentivo le vene nella mia testa che stavano per scoppiare, lì è quando l’ho capito, all’improvviso. Non ci avevo mai pensato prima. Ehi, BG… Stai davvero per morire. Tu non vuoi morire. Non vuoi davvero suicidarti. Vuoi solo uccidere l’ansia. Vuoi vivere, B. Vuoi VIVERE, stupido figlio di p*****a. E’ meglio che ti salvi”.

Il britannico in realtà ebbe altre chance nel 2016, dopo un anno lontano dai parquet, prima di cadere nello sconforto mentale. Fu convocato dalla Gran Bretagna per le qualificazioni in vista dell’Europeo 2017 e giocò 2 gare in preseason con i Golden State Warriors. “Mi sento bene, mi sento molto bene – affermò al tempo – Non ho giocato la scorsa stagione, non ho avuto un contratto con nessuno. Dopo non aver giocato per un anno non vedo l’ora di sfruttare questa occasione con la nazionale, di giocare, divertirmi, con dei ragazzi con cui non ho mai avuto la possibilità di giocare nella Gran Bretagna”. Un giocatore col suo tiro da tre e con la sua costanza avrebbe potuto meritare di più, aggiungendo comunque profondità all’interno di qualsiasi franchigia NBA. Un uomo che voleva solo giocare e che senza il gioco vide materializzarsi un crollo psicologico. 


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