Inutile nasconderlo, la Serie A 2019/2020 potrebbe non completarsi mai. La regolarità della stagione, interrotta a due terzi del proprio cammino, è ora a serio repentaglio per via della pandemia di coronavirus che sta mettendo in ginocchio il mondo intero e che in Italia miete vittime come fosse una vera e propria guerra. La guerra, già: come centocinque anni fa, in un certo qual modo. Era il 1915 e il Bel Paese si preparava per entrare nella prima guerra mondiale: la Serie A non esisteva ancora, c’era il campionato di Prima Categoria e aveva un meccanismo cervellotico e ben più complesso rispetto ai giorni nostri. All’epoca la sospensione, per ovvi motivi, divenne definitiva, e lo scudetto 1914-15 divenne ben presto quello della discordia per via della decisione postbellica della Figc di assegnarlo al Genoa nonostante la stagione non fosse terminata. Un’altra squadra, la Lazio, chiede infatti da tempo l’assegnazione ad ex aequo di quel titolo: all’epoca, però, ci fu un motivo per il quale i biancocelesti non furono presi in considerazione dalla federazione. Un episodio, in particolare, generato proprio dallo stesso conflitto bellico e dalla chiamata alle armi di un giovane portiere, Filippo Pellizzoni, che nacque proprio il 30 marzo, nel 1895. Ma andiamo con ordine.
UNA GRAN CONFUSIONE – Nel 1915 il titolo di campione d’Italia veniva assegnato in seguito a una finale tra la squadra campione del torneo settentrionale e il club che risultava vincitore di uno spareggio tra la società che aveva prevalso nel girone centrale e quella che aveva vinto il girone meridionale. Al termine di un lungo cammino il Genoa aveva vinto il girone del nord Italia: primo posto nel girone A, il primo eliminatorio, vittoria – con un turno di anticipo per via dell’entrata in guerra – del girone finale con Inter, Milan e Torino che si erano qualificate negli altri raggruppamenti. Dunque il club ligure, il più antico d’Italia, era la prima finalista per la vittoria del campionato italiano in questo sofisticato sistema. Serviva la sfidante, doveva arrivare dal confronto tra la Lazio, che sarebbe poi aggiudicata il girone centrale, e la vincitrice del gruppo del sud. Nel mezzogiorno e per la precisione a Napoli, però, ci fu un imprevisto. Ma per inquadrare meglio la vicenda, occorre spostarci nuovamente verso settentrione e fare un salto ad Alessandria.
UNA PARTITA DA MEDIANO – I grigi due anni prima erano stati promossi in massima serie e uno dei primi acquisti riguardò il ruolo del portiere: la dirigenza piemontese scelse il giovane Filippo Pellizzoni, che nel 1913-1914 giocò sedici partite e fu confermato anche per la stagione successiva. L’estremo difensore, nato a Milano nel 1895, non ancora ventenne ricevette nel mese di dicembre la cartolina dell’esercito: la sua carriera era destinata a interrompersi di lì a poco, proprio come l’intero campionato di Prima Categoria. Pellizzoni fu costretto a trasferirsi in Campania presso la XV e XVI fanteria della Brigata Savona e dovette dunque abbandonare l’Alessandria, che arrivò secondo nel proprio girone. Alcuni mesi dopo, però, il giovane portiere era stato scelto dall’Internazionale Napoli per giocare, nel ruolo di mediano, nella stracittadina contro il Naples. Si trattava della finale del girone sud e si disputò nella seconda metà di aprile in un doppio confronto che metteva in palio la finale centromeridionale contro la Lazio. Prevalse proprio l’Internazionale (4-1 all’andata e 1-1 al ritorno), ma le partite furono annullate dalla Figc per via del tesseramento irregolare di Pellizzoni e di un altro calciatore, Steiger. La federazione tenne conto della buonafede della squadra partenopea e anziché assegnare la vittoria a tavolino al Naples decide di far ripetere le due partite, fissando le nuove date al 16 e 23 maggio.
LA DECISIONE – Il tempo, però, stringeva: il Bel Paese era davvero a un passo dall’entrata in guerra e la sensazione nel mondo del calcio era quella di una concreta possibilità di non veder concluso il campionato. Si mise di mezzo il fato: la ripetizione della finale del girone meridionale portò a un nulla di fatto e con il 3-0 dell’Internazionale Napoli all’andata e il 4-1 del Naples al ritorno si era reso necessario un ulteriore spareggio secco per stabilire un vincitore. Spareggio che, però, non si giocò mai, perché appena poche ore dopo il match di ritorno, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava ufficialmente in guerra e il calcio divenne l’ultima delle preoccupazioni. Una volta terminato il conflitto, la Figc stabilì in maniera retroattiva che la Lazio fosse dichiarata campione dell’Italia centromeridionale in mancanza di una sfidante certa tra Internazionale Napoli e Naples, ma assegnò il titolo di campione d’Italia di Prima Categoria al Genoa, in considerazione del fatto che i liguri fossero effettivamente l’unica squadra al momento della sospensione delle attività ad aver conquistato ufficialmente la certezza di disputare la finalissima. Il Grifone si vide dunque assegnare lo scudetto (che la Lazio però contesta ancora oggi) con diversi anni di ritardo, nel 1921, e due calciatori di quella rosa, Adolfo Gnecco e Claudio Casanova, non lo seppero mai perché caddero durante la Grande Guerra.
L’EROE DEL CARSO – E Pellizzoni? Il portiere-soldato che si trovò suo malgrado al centro della polemica di cui ancora oggi esistono strascichi legali non giocò mai la ripetizione della finale meridionale: la Brigata Savona era già partita in direzione dell’Altopiano Carsico e fu stata scelta nelle strategie militari come una delle prime a gettarsi nella mischia al fronte per spianare la strada al resto delle truppe italiane nella prima battaglia dell’Isonzo. Pellizzoni è ciclista scelto e fa la spola ogni giorno mettendo in comunicazione i piani alti e i soldati. Il 3 luglio 1915, come racconta abilmente Mario Fadda, Pellizzoni riceve un incarico molto delicato: c’è un battaglione dei Bersaglieri che rischiava di essere colpito d’infilata dal fuoco nemico, il suo compito era quello di raggiungerlo in fretta e furia per avvertire tutti del pericolo e comandare la ritirata. Per far ciò, però bisognava percorrere circa cinquecento metri allo scoperto, bombardato dallo scoppio continuo degli shrapnel nemici. Uno di questi proiettili letali, però, esplode sotto di lui e le schegge lo feriscono al braccio e alla testa. Stremato e ricoperto di sangue, riesce comunque a raggiungere la collina e riesce a dare l’allarme prima di svenire. Sopravviverà e sarà il primo calciatore a ricevere la medaglia d’argento al valor militare: fu curato all’ospedale di Ravenna e tornò addirittura a giocare, venendo ingaggiato dal Milan nella stagione 1918-1919. Due anni dopo, però, fu la volta dell’addio al calcio ad appena ventisei anni: il fisico provato dall’esperienza nella guerra non consentì a Filippo Pellizzoni di sopravvivere a lungo e così il primo maggio del 1935 si spense a Milano all’età di quarant’anni, dopo aver scritto suo malgrado un pezzo di storia del calcio e, da protagonista, una delle tante pagine eroiche di quegli anni orribili.