Amarcord

L’angolo del ricordo: l’ultimo acuto di Roddick a Miami ed il futuro. Ripartire si può

Andy Roddick
Andy Roddick - foto Ray Giubilo

Il Masters 1000 di Miami ha sempre offerto grandi emozioni agli appassionati di tutto il mondo, deliziando i palati fini e non trascurando le esigenze degli amanti dell’agonismo puro. Il torneo statunitense ha proposto diversi filoni di atleti sul podio, raramente in continuità diretta fra di loro, i quali hanno rappresentato le varie fasi storiche del tennis, a partire dal diligente Tim Mayotte sino all’infinito Roger Federer. Dal 1985, anno di fondazione dell’evento, l’albo d’oro ha presentato ben 7 atleti a stelle e strisce, ma solo 2 negli ultimi 10 anni, ovvero Andy Roddick e John Isner.

Il dato appena riportato è connesso strettamente ad una certa ed evidente involuzione dei tennisti di nazionalità statunitense, perlomeno per ciò che concerne i risultati ottenuti. Per tradizione, gli Stati Uniti d’America hanno segnato indelebilmente la storia del tennis, tant’è che sembra quasi superfluo menzionare le gesta di leggende come Andre Agassi, Jim Courier, Michael Chang e Pete Sampras, grandi stelle e detentori di tornei Slam. A cavallo fra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’00, il predominio americano è andato scemando, in quanto il ricambio generazionale non ha fornito le medesime certezze del periodo d’oro citato, peraltro realisticamente irripetibile, anche “a causa” di alcune personalità da record come il già citato Roger Federer, l’intramontabile Rafael Nadal ed il robot Novak Djokovic.

La grande eccezione di inizio nuovo millennio ha portato il nome di Andy Roddick, trionfatore Slam nel 2003 e sul gradino più alto del podio a Miami, per la seconda volta, nel 2010. Gli spettatori del suddetto torneo hanno ammirato le gesta del campione classe ’82, superiore a Rafael Nadal in semifinale e a Tomas Berdych all’ultimo atto, non esattamente due avversari qualunque. Le caratteristiche di Roddick palesavano delle potenzialità straripanti, espresse peraltro solo in parte, rese iconiche dall’elegante ed esplosivo movimento al servizio, oltre a dei colpi concreti e violenti che caratterizzeranno lo stile e la strutturazione tecnico-tattica delle generazioni seguenti, con annesse carenze del rovescio.

Il passato disegnato meravigliosamente dai campioni della storia statunitense ha indirettamente causato grande pressione per i successori, pesante come un macigno, ed il movimento ne ha sofferto parecchio. Roddick ha solo in parte rispettato le attese, fallendo appuntamenti importanti, ma i due successi a Miami fra il 2004 e il 2010 e lo Us Open 2003 hanno proiettato la sua figura sotto una splendida luce, come ultimo erede della “tradizione reale” di campioni del passato. John Isner, Steve Johnson, Jack Sock, Ryan Harrison e Donald Young sono solo alcuni dei nomi di atleti statunitensi protagonisti degli anni ’10, tutti insidiosi opponenti ma mai in grado di eguagliare le gesta dei loro predecessori.

La nuova generazione americana presenta attualmente i talenti Taylor Frtiz e Reilly Opelka come punte di diamante di un tennis pragmatico, seppur spesso tendente verso l’oblio della monotonia. Il servizio devastante è caratteristica cruciale delle star emergenti appena riportate, ma ciò che non convince è la carenza in diversi ambiti, ugualmente fondamentali in questo sport, come ad esempio quello relativo alla solidità mentale nell’arco di un match. Fritz e Opelka potrebbero donare agli Stati Uniti un trionfo Slam, dopo 16 anni di astinenza? Magari vi è la necessità che i due prendano gradualmente reale consapevolezza dei propri mezzi, ancor meglio se davanti al proprio pubblico. Da Miami 2010 a Miami 2021, ripartire si può.

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