Il pallone è rotondo, pali e traverse, a volte, no. O meglio, fino alla metà degli anni ’70 poteva ancora capitare, qua e là, di trovare ancora quei legni spigolosi che erano ormai stati messi al bando da Fifa e Uefa, considerati pericolosi per l’incolumità dei giocatori e dallo stile ormai troppo naif per un calcio che andava sempre più modernizzandosi. Nel 1976, però, all’Hampden Park di Glasgow le traverse erano ancora quadrate e il Saint-Etienne del decennio d’oro può tranquillamente affermare di aver perso la possibilità di mettere le mani su quella che sarebbe stata la prima storica vittoria in Coppa dei Campioni: del resto, lo dice la scienza.
QUEL DECENNIO D’ORO – La stagione 1975-1976 vede ancora una volta i Verdi protagonisti della scena calcistica francese. Sotto la guida illuminata del presidente Roger Rocher l’A.S.S.E era ormai la big incontrastata della Ligue 1 e aveva già portato a casa otto titoli. Con la vittoria del campionato del 1975 i transalpini si erano guadagnati la possibilità di giocare ancora una volta in Coppa dei Campioni, competizione ben più probante di quella domestica, in cui anche in quell’annata sarebbe arrivato abbastanza agevolmente il successo finale. In Europa il Saint-Etienne fa faville: battuti ai quarti gli ucraini della Dinamo Kiev con una super rimonta (in Crimea i padroni di casa vinsero per 2-o all’andata, ma al ritorno i francesi fotocopiarono il risultato vincendo poi ai supplementari contro una delle squadre più forti di quel periodo), poi in semifinale scontro mozzafiato con il Psv in cui basta lo 0-0 al ritorno dopo l’1-0 del Geoffroy-Guichard. E’ dunque arrivata la grande occasione di chiudere il cerchio, la finale di Coppa dei Campioni per affermarsi anche al di fuori dei confini nazionali.
LA GEOMETRIA E’ UN’OPINIONE – L’avversario di turno è il Bayern Monaco, che peraltro aveva battuto l’A.S.S.E appena un anno prima in semifinale. Era dunque l’opportunità, in un colpo solo, di vendicarsi dei tedeschi e di mettere le mani sul titolo continentale. Ci sono tutte le premesse per assistere a un trionfo, ma si mette di mezzo la sorte, che dispensa ai francesi un destino beffardo. La finale, come detto, si gioca a Glasgow, nella casa della nazionale scozzese e nelle occasioni di gala anche dei Rangers, contro cui i Verdi avevano già giocato pochi mesi fa negli ottavi, vincendo sia tra le mura amiche che nell’impianto di Letherby Drive, scelto per ospitare le sfide di interesse nazionale come una eliminazione diretta di quella che sarebbe poi divenuta la Champions League. Insomma, la cabala e precedenti sembrano essere, per una volta, dalla parte del Saint-Etienne, ma la geometria gioca un brutto scherzo ai transalpini, per ben due volte in pochi minuti. Intorno al ventesimo minuto Bathenay esplode una botta dalla distanza che si infrange contro la parte inferiore di quella traversa che riconduce di nuovo in campo la sfera anziché accompagnarla dopo una carambola in fondo al sacco. A pochi minuti dall’intervallo Santini colpisce di testa da due passi e sembra cosa fatta per il vantaggio: niente da fare, porzione più bassa della traversa colpita e palla che non vuole saperne di entrare. Se i legni delle porte dello stadio di Glasgow fossero state rotonde, come siamo abituati a vedere in tutti gli impianti del mondo, le due conclusioni sarebbero sicuramente entrate e lo hanno dimostrato alcuni scienziati che hanno effettuato uno studio balistico.
IL CONTROFINALE – Si restò dunque sull’incredibile 0-0 e nella ripresa Roth regalò ai bavaresi la vittoria trovando il gol del vantaggio con una punizione perfetta che, quella sì, si insaccò all’angolino e valse la vittoria dei tedeschi, che saranno sempre più spesso habitué di questa competizione fino ai nostri giorni, a discapito del Saint-Etienne che non riuscirà mai più a brillare in Europa, presentandosi di tanto in tanto nelle fasi a gironi di Champions o Europa League ma senza mai arrivare fino in fondo. Quella serata del 14 aprile 1976 fu il punto più alto della storia del glorioso club francese, ma ebbe un epilogo davvero amaro. C’è però un controfinale che fa onore al club francese: la società biancoverde, alcuni anni fa, ha acquistato i famosi poteau carres di Hampden Park, quei maledetti pali quadrati conservati nel museo dello stadio scozzese dopo la loro sostituzione a cavallo tra anni ’70 e ’80. Adesso, non senza una punta di orgoglio, sono esposti nel museo del Saint-Etienne, ed è giusto così.